Se la pressione sistolica resta al di sotto dei 120 millimetri di mercurio (mmHg), il rischio di eventi cardiovascolari si abbassa. È quanto emerge da uno studio da uno studio pubblicato sulla rivista Circulation dai ricercatori statunitensi coordinati da Richard Cooper del Loyola Medical Center di Maywood. Secondo gli esperti, tuttavia, un livello pressorio troppo basso potrebbe anche arrecare alcuni effetti collaterali, come insufficienza renale e squilibri elettrolitici.
Gli autori hanno utilizzato i criteri utilizzati da Sprint (Systolic Blood Pressure Intervention Trial), uno studio che aveva dimostrato che ridurre la pressione sanguigna sistolica da 140 mmHg – valore ritenuto “nella norma” negli Stati Uniti - a 120 mmHg – valore che in Italia viene indicato come “soglia massima da non superare” -, potrebbe ridurre del 27% il rischio di ictus, infarto e mortalità per disturbi cardiovascolari. Nello specifico, gli scienziati hanno utilizzato questi parametri per analizzare i dati raccolti tra il 1999 e il 2006 dal National Health and Nutrition Examination Survey, concentrandosi, in particolare, su circa 2.000 persone di entrambi i sessi, che avevano un'età media di 68,6 anni. I partecipanti, che presentavano un tasso di mortalità annua pari al 2,2%, rispondevano ai criteri d'inclusione dell'indagine Sprint: età pari o superiore a 50 anni e pressione sistolica compresa tra 130 e 180 mmHg.
Al termine della ricerca, gli autori hanno osservato che ridurre la pressione sanguigna della popolazione fino a 120 mmHg potrebbe salvare la vita di 107.500 cittadini ogni anno. Inoltre, potrebbe prevenire 46.100 casi di arresto cardiaco. Tuttavia, secondo gli esperti, questa eventualità potrebbe anche produrre effetti collaterali: potrebbe causare 56.100 episodi di ipotensione, 34.400 sincopi, 43.400 eventi di squilibri elettrolitici gravi e 88.700 casi d'insufficienza renale acuta all'anno. Alla luce di questi risultati, gli autori ritengono che per conciliare rischi e vantaggi dell'abbassamento della pressione sanguigna, potrebbe essere opportuno mantenerla introno ai 130 mmHg.
“Negli Stati Uniti il rischio di sviluppare l'ipertensione nel corso della vita è pari a circa l’80% - osserva Cooper -. La gestione ottimale della pressione rappresenta uno dei più significativi contributi forniti dalla medicina alla sopravvivenza dei pazienti. Occorre quindi comprendere che anche piccoli miglioramenti nella gestione individuale possono avere un grande impatto sulla salute delle persone”.
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di Nadia Comerci
Pubblicato il 24/02/2017