Tratto da laStampa.it

In Italia ne soffre il 44% della popolazione. Fra le cause il peso corporeo, lo spostamento in avanti degli orari dei pasti e il cattivo funzionamento di una valvola nello stomaco

 

L’aumento del peso corporeo della popolazione e lo spostamento in avanti degli orari di vita sono i due fattori che hanno determinato l’aumento dei casi di malattia da reflusso esofageo (MRGE) nell’ultimo ventennio. Da un lato, infatti, la presenza del grasso addominale tende a esercitare una pressione sullo stomaco in direzione dell’esofago, dall’altro l’abitudine di cenare a ridosso dell’ora di dormire può interferire con il normale processo digestivo. In entrambi casi, a essere favorita è la risalita verso l’alto del cibo presente nello stomaco e il conseguente ingresso nell’esofago di succhi gastrici o bile che provocano dolori e bruciori.  

 

QUELLA SENSAZIONE DELLO STOMACO IN FIAMME

È questa la manifestazione più caratteristica della malattia da reflusso esofageo, i cui sintomi arrivano a interessare il 44% della popolazione italiana, secondo gli ultimi dati riportati dal Libro Bianco della gastroenterologia italiana. Tuttavia è la frequenza di questi fastidi a determinare la patologia. «Un conto è accusare un reflusso transitorio dopo una grande abbuffata o uno stato di stress, un altro conto è soffrire di disturbi più frequentemente, anche con cadenza settimanale o giornaliera. È in quest’ultimo caso che parliamo di malattia da reflusso esofageo» afferma Giancarlo Caletti, direttore dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Università di Bologna presso l’Ospedale di Imola.  

 

LA CAUSA: DIFETTO ANATOMICO OPPURE STILE DI VITA?

Eccesso di peso e cattive abitudini di vita sono soltanto due possibili fattori alla base del disturbo, che può essere ricondotto anche a difetti funzionali o anatomici della valvola che separa l’esofago dallo stomaco: il cardias. Una larga parte di casi di reflusso, ad esempio, è determinata dall’ernia iatale: un disturbo spesso asintomatico con cui convive circa 1 italiano su 10 e caratterizzato dal «passaggio» di una parte di stomaco all’interno del torace attraverso un foro del diaframma. Altrimenti, a innescare il reflusso possono essere fattori apparentemente non legati all’esofago, come l’intestino pigro, che può determinare nel tempo una pressione aumentata nell’addome e quindi la possibile risalita dei contenuti gastrici all’interno dell’esofago.  

 

TOSSE E RAUCEDINE TRA I SINTOMI

Così come le cause, anche i sintomi possono essere molto diversi tra loro. «I sintomi si dividono in due tipi: quelli esofagei che determinano i caratteristici dolori e bruciori gastrici o retrosternali, eruttazioni acide o rigurgiti; e quelli extra-esofagei, rappresentati da asma, tosse cronica e stizzosa, laringite o raucedine» sottolinea Giancarlo Caletti. Proprio a causa di questo ampio spettro di segnali, non è raro che il primo specialista di riferimento dei pazienti con reflusso esofageo non sia il gastroenterologo, ma il cardiologo, lo pneumologo o anche l’otorinolaringoiatra.  

 

POCHI ACCORGIMENTI A VOLTE BASTANO PER UN SOLLIEVO

A determinare la cura è invece il tipo di sintomo e la sua gravità. «Nei casi di disturbo lieve si tende a curare il reflusso mettendo a posto lo stile di vita, ad esempio consigliando al paziente di non mangiare troppo di sera e magari fare del movimento prima di coricarsi, regolarizzare l’intestino, perdere peso, rinunciare al fumo e all’alcol e ridurre il consumo di alimenti grassi specialmente a cena», spiega Giancarlo Caletti. «In alternativa – prosegue il professore – si può prescrivere una terapia farmacologica a base di inibitori della pompa protonica che rappresentano una soluzione ideale in questi casi».  

 

IL RICORSO ALLA CHIRURGIA SOLO IN CASI ESTREMI

Un trattamento più invasivo per i casi più difficili è invece rappresentato dalla chirurgia, attraverso cui si mira a ristabilire la corretta funzionalità del cardias e ad eliminare il disturbo alla radice, anche se raramente si giunge a una soluzione definitiva attraverso questo percorso. «Ritengo che l’intervento chirurgico trovi indicazione solo in un ristretto numero di casi, ad esempio quando i farmaci inibitori della pompa protonica generano effetti collaterali oppure quando il disturbo è causa di rigurgiti molto pronunciati. Tuttavia non sempre questi interventi sono risolutivi, per questo andrebbero sempre valutati con la massima attenzione» avverte Caletti.