Tecnicamente si chiamano inibitori di pompa protonica. Prescritti per ulcera e reflusso gastroesofageo, aumenterebbero i rischi di fratture, infezioni da clostidrium difficile e infarto del miocardio
Fabio Di Todaro
Sono tra i farmaci più consumati dagli italiani, secondi soltanto a quelli mirati alla prevenzione della salute cardiovascolare: statine (abbassano i livelli di colesterolo), ACE-inibitori e sartani (tengono a bada la pressione sanguigna).
Gli inibitori di pompa protonica bloccano la sintesi di acido cloridrico da parte delle cellule parietali dello stomaco e sono prescritti per la terapie dell’ulcera gastrica e del reflusso gastroesofageo. Possono essere somministrati, assieme agli antibiotici, anche per l’eradicazione dell’helicobacter pylori, responsabile delle ulcere e considerato un fattore di rischio per il cancro dello stomaco, e come «protettori» in corso di terapie con cortisonici e antinfiammatori (per ridurre il rischio di emorragie gastrointestinali). Ma alla base della loro diffusione c’è pure un utilizzo senza una precisa indicazione e inopportuno per la salute.
QUALI I POSSIBILI EFFETTI AVVERSI?
Il messaggio riecheggia già da diversi anni sulle riviste scientifiche. Adesso a fare il punto sui possibili eventi avversi - descritti da studi osservazionali, dunque non in grado di provare un nesso di causalità diretta - legati al consumo inopportuno di farmaci antiacidi è una review pubblicata sul Canadian Medical Journal Association. Dalle sei pagine emerge che un uso prolungato degli inibitori di pompa protonica - che andrebbero assunti per non più di due mesi e intervallando i trattamenti con un periodo di pausa di diverse settimane - risulta correlato a un aumento delle fratture osteoporotiche , delle infezioni da clostridium difficile e da una riduzione dei livelli di magnesio e di vitamina B12 nel sangue. Motivo per cui, secondo gli estensori del paper, «c’è l’urgenza di identificare una strategia in grado di limitare le prescrizioni inappropriate di questi farmaci e di valutare in maniera comparativa gli effetti degli inibitori di pompa protonica e degli H2 antagonisti, anch’essi efficaci nella prevenzione delle ulcere gastriche».
PRUDENZA SOPRATTUTTO PER GLI ANZIANI
Risale a pochi mesi fa uno studio pubblicato su Plos One da cui è emerso che, tra quasi due milioni di pazienti che soffrivano di bruciore di stomaco, chi faceva uso degli inibitori di pompa protonica aveva un rischio più alto tra il 16 e il 21 per cento di incorrere in un infarto del miocardio. Questa classe di farmaci è utilizzata soprattutto nella popolazione anziana. Ed è a loro che qualche anno fa ha voluto guardare un gruppo di medici italiani Guidati da Marcello Maggio, docente di clinica medica e geriatria all’Università di Parma. Osservando un gruppo di pazienti anziani dimessi da undici reparti italiani per acuti di medicina interna e geriatria, i ricercatori (coinvolti anche gli atenei di Ancona e Baltimora) hanno indagato la relazione tra l’uso di inibitori di pompa protonica e la mortalità. Dal lavoro, pubblicato sul Journal of the American Medical Association, è emerso un aumento superiore al cinquanta per cento del rischio di mortalità tra gli utilizzatori di inibitori di pompa protonica nell’anno successivo alla dimissione.
IL RUOLO DELLA “VECCHIA” RANITIDINA
Un’alternativa a questi farmaci potrebbe derivare dagli H2 antagonisti, citati anche nel lavoro canadese. Il più noto tra questi è la ranitidina, tra i primi rimedi impiegati contro l’ulcera gastrica e il reflusso gastroesofageo, in quanto in grado di inibire il rilascio di acido cloridrico da parte della parete gastrica (con un meccanismo differente rispetto a quello impiegato dagli inibitori di pompa protonica). Nel lungo periodo, la loro efficacia va scemando. Ma le conseguenze, soprattutto per l’apparato cardiovascolare, sono decisamente inferiori.
Twitter @fabioditodaro