La nuova medicina «di precisione» vuole individuare con l’analisi del Dna la specifica forma di patologia del singolo paziente, così da mirare ancora meglio la cura.
di Adriana Bazzi
Mary Ann Anselmo, 59 anni, cantante americana di jazz del New Jersey, costa Est degli Stati Uniti, e Marcia Stiefel, 68 anni, pensionata del North Dakota. Due donne colpite dallo stesso tumore, un glioblastoma del cervello (diciamo: uno dei più difficili da curare), ma con un destino diverso. A Mary Ann i medici dello Sloan Kettering di New York, uno dei più famosi istituti per la cura del cancro al mondo, hanno analizzato il genoma del tumore, hanno scoperto una alterazione del Dna (capace di stimolare la crescita tumorale) sensibile a un farmaco non prescritto per il glioblastoma (si usa nel melanoma), glielo hanno somministrato, con successo. Per Marcia non è stato così, non aveva la mutazione (non solo: nel North Dakota, gli ospedali non sono attrezzati come a New York) e l’unica prospettiva è stata quella di continuare la chemioterapia.
Le prospettive e le difficoltà
Ecco, questo è un po’ il succo della nuova medicina di precisione: la possibilità di individuare la particolare forma di malattia di cui il paziente soffre (attraverso l’analisi del Dna) e curarla. Con i mezzi che si hanno già a disposizione o studiandone altri. Personalizzando, cioè, la cura in modo da somministrare il farmaco giusto al paziente giusto. E non solo nel caso dei tumori. Ormai da alcuni anni, però, si parla di terapie personalizzate. Che cosa sta cambiando? «La medicina personalizzata, annunciata da tempo, — precisa Giuseppe Testa, professore di Biologia molecolare all’Università di Milano e direttore del Laboratorio di Epigenetica delle cellule staminali all’Istituto europeo di Oncologia — così non è stata. Si è limitata a stratificare meglio i pazienti, riclassificandoli a livello molecolare e individuando terapie valide per quei gruppi, non per il singolo (come, invece è accaduto per Mary Ann, ndr). Più che di “personalizzazione” si dovrebbe parlare di “gruppizzazione”». L’ambizione, invece, è intervenire sul singolo. «E questo comporta almeno due problemi –—continua Testa —. Il primo riguarda le modalità con cui si dovrà dimostrare l’efficacia di un farmaco e, il secondo, i sistemi regolatori, cioè tutto l’iter di registrazione di un medicinale».